“H” è una hanseniana e prima viveva in Eritrea. All’HEWO si sono presi cura di lei, era pressoché una bambina. Poi quando hanno dovuto lasciare il paese sono andati via ed hanno lasciato anche lei.
Ma un giorno, almeno dieci anni dopo, a Mekelle, fuori da una chiesa vedono una donna che le somiglia chiedere l’elemosina. Sembra proprio lei ed è davvero lei. E’ passato così tanto tempo, l’incontro è commovente. “H” non ha niente, non ha una casa dove dormire, non ha denaro per comprarsi qualcosa da mangiare. Pochi birr di elemosina le permettono di svoltare la giornata. E da allora si sono presi di nuovo cura di lei, le hanno cercato un posto dove dormire, ma tutti i prezzi erano fuori dalla sua portata, non ha proprio niente. Viene presa una prima casa e le viene pagato l’affitto. Più che una casa sembra un piccolo ricovero per animali e forse lo è. L’entrata non ha porta ed è alta non più di un metro e venti. Non ci sono finestre; dentro c’è una rete con un materasso e nient’altro. E’ così che l’ho vista la prima volta, mi ha portato lì Giancarlo Bertacchini e c’era anche Letay Teklu con noi.
Sei mesi dopo, quando ho chiesto a Letay di impiegare dei soldi per aiutare chi nella comunità si trovasse in grave difficoltà, lei mi ha detto “aiutiamo chi non ha proprio niente, aiutiamo H per esempio, l’hai vista l’altra volta con Giancarlo ricordi?”. E cosi “H” ha potuto cambiare casa più volte, ora ha una porta a vetri ed una finestra che fanno entrare un bel po’ di luce, il letto è ben sollevato da terra, il soffitto è alto ed asciutto, c’è anche qualche piccolo mobile e dei poster religiosi alle pareti. Ha molti vicini di casa, di ogni età, tanti bambini. Mangia tutti giorni e quando andiamo a trovarla ci prepara sempre, con l’aiuto di Letay, il caffè ed il popcorn, ci chiede se vogliamo la injera e senza aspettare la risposta esce e corre a prendere pane e bibite per noi.
“B” è giovane, ha meno di 30 anni. E’ HIV positiva, il corpo e l’anima spossati dalla malattia. Non fa terapia. Ha una figlia di nove anni, HIV negativa che dovrebbe andare a scuola. Si cerca di convincerla ad iniziare il programma terapeutico ma per farlo dovrebbe abitare nel paese intorno all’ospedale. Così anche la figlia potrebbe andare alla scuola del paese. Ma come quasi tutte le mamme sole ha due opzioni: restare al lontano villaggio dai propri genitori senza terapia e scuola, o trovare lavoro ma è impossibile nelle sue condizioni. Una operatrice locale dell’HEWO, riesce a convincere “B” ad andare a vivere temporaneamente a casa sua, a breve distanza dall’ospedale, con la figlia. In questo modo lei potrà iniziare e continuare la terapia e la figlia andare finalmente a scuola. Le comprano la metà superiore della divisa. La terapia comincia progressivamente ad avere effetto, “B” mette qualche chilo in più ed uno sguardo meno disperato comincia ad apparire sul suo viso. Fa terapia ed aiuta in casa per quanto può.
Capisce che quella soluzione non può durare a lungo; chi l’ha accolta in casa non ha i mezzi per poterla sostenere a lungo, ha una famiglia numerosa. Così cerca una casa vicina all’ospedale che le possa permettere di continuare la terapia e possa permettere a sua figlia di continuare ad andare a scuola. Ma “B” non ha soldi, la casa l’avrebbe trovata ed ha già portato le sue poche cose dentro. Siamo andati a trovarla nella casa con le pareti blu dall’operatrice di Hewa che ci ha invitati a pranzo. E abbiamo visto la bambina tornare da scuola. Un sorriso indimenticabile; ci è praticamente saltata addosso baciandoci sulle guance rumorosamente, poi è andata a lavarsi le mani ed ha preso qualcosa da mangiare. Non solo il sorriso è indimenticabile. Riempie la stanza di una gioia irrefrenabile e si stringe alla madre silenziosa. Decidiamo di aiutarle assicurandole la casa, il cibo e le prime necessità. Le accompagniamo alla casa sulla collina dietro l’ospedale, ha un intonaco colorato fuori ed un muro a secco delimita una discreta aia intorno. Una porta ed una piccola finestra. Dentro è spaziosa. Per terra c’è una grossa coperta, qualche busta piena sopra e non c’è altro nella stanza.
Le salutiamo ed usciamo nell’aia. Ci salutano, in piedi nella luce della porta, la bambina con un sorriso sereno, la mamma con gli occhi rivolti verso il basso.
“G” ha da poco trovato un lavoro. Fa le pulizie all’università di Mekelle, ad un’ora circa di cammino dalla casa che divideva con il marito e che ora, dopo il divorzio, è stata divisa in due unità. Siamo alla periferia di Mekelle, appena fuori dalla città nella terra scura dell’altopiano, animali, eucalipti, bambini, pietre e case sparse. “G” va due volte al giorno a fare le pulizie portandosi dietro la bambina piccola di due anni. I due maschi vanno a scuola e tornano, naturalmente per conto loro. La sua paga è di 500 birr, esattamente 21,73 euro con il cambio a 23 e non sono sufficienti per le prime necessità di tutti e quattro. Il padre non partecipa al mantenimento dei figli. Proviamo a farlo noi. Ci aspettano a casa in un pomeriggio ventoso e nuvoloso che minaccia tempesta. Hanno preparato il caffè e l’immancabile popcorn per la gioia dei tre figli che si riempiono mani e bocche. Sulla parete di fronte a noi una bella credenza di legno testimonia una vita domestica consolidata. I maschietti ci osservano con aria divertita e sorpresa e sorridono alle fotografie che Maria scatta con discrezione. Anche “G” sorride. Un sorriso abbastanza sereno. Un braccio a stringere e rassicurare la bimba che ci guarda con gli occhi sgranati. Ci mostrano con orgoglio le scarpe con cui i due maschietti fanno tanta strada per andare a scuola e ci ringraziano. Nella stanza ben sollevato da terra un unico grande letto. Tante coperte sopra. Stasera fa quasi freddo quando li salutiamo. Alemichel mette in moto e con fatica supera buche, canali, pietre e riprende la strada per Mekelle.