Chirurgia Pediatrica
Responsabile: Dott. Guglielmo Mazzoni
Il progetto Chirurgia Pediatrica è nato nel 2012, su sollecitazione del dott. Giorgio Pasquini, fermamente convinto, in base alla sua decennale conoscenza della realtà locale, dell’esigenza di estendere l’attività chirurgica dell’Hewo Hospital anche all’età pediatrica. Nel corso della prima missione, avvenuta nell’ottobre del 2012, è stata effettuata, visitando gli ospedali di Quihà e di Makallè, un’indagine conoscitiva della realtà medica, chirurgica e pediatrica del Tigray, con particolare riguardo all’area della chirurgia pediatrica.
In un paese in cui, rispetto all’Italia, accanto a una natalità tripla sussiste una mortalità nei primi 5 anni di vita 20 volte superiore, i pediatri sono scarsi e per lo più concentrati nelle città più importanti. Tutti i presidi sanitari periferici sono gestiti da personale infermieristico, specializzato in pediatria. Il medico pediatra è presente generalmente solo una volta a settimana e lo stesso si verifica sia al General Hospital di Quihà, dove vengono visitati al mese circa 900 bambini, di età compresa da 0 a 5 anni, che anche al reparto pediatrico dell’Hewo Hospital. A Makallè c’è un ospedale universitario di Riferimento Regionale, l’Ayder Hospital, di recente costruzione e non ancora in grado di coprire tutte le specializzazioni mediche e chirurgiche; per quanto riguarda la chirurgia pediatrica questa è ancora considerata branca super specialistica. Non esiste, quindi, in tutto il Tigray (circa 42.000 Km quadrati, e circa 7 milioni di abitanti) uno specialista chirurgo pediatra. I pochi chirurghi generali fanno quello che possono. Là dove non sono in grado, inviano il paziente a Addis Abeba, la capitale che dista circa 800 Km. In un paese grande due volte la Francia, dove il trasporto ferroviario comincia ad essere realizzato solo in questi ultimi anni, il trasporto avviene principalmente su gomma. Considerando la tipologia e lo stato delle strade, un viaggio di 800 Km diventa impossibile per chi non ha tempo, né mezzi, nè soldi. In una siffatta realtà quindi un Progetto di Chirurgia Pediatrica all’Hewo Hospital ci è sembrato non solo utile, ma anche socialmente indispensabile.
La nostra avventura inizia con 20 bambini operati nella prima missione! Nel 2013 passiamo a 2 missioni e 32 bambini operati e dobbiamo affrontare le prime difficoltà logistico-organizzative come una distanza enorme tra camera operatoria e padiglione pediatrico ed un trasporto di pazienti decisamente disagevole; la possibile soluzione di questa problematica tramite la realizzazione di una nuova struttura sede di un dipartimento materno infantile con annessa camera operatoria, accanto alla pediatria, come inoltre richiesto dall’Health Bureau del Tigray, avrebbe purtroppo dei costi proibitivi.
Da quel lontano 2012, in cui ci siamo recati per la prima volta all’Hewo Hospital, ad oggi abbiamo fatto molti passi in avanti. Abbiamo da poco concluso la 13° missione con le stesse emozioni della prima volta. Ormai, già da qualche anno, in ogni missione superiamo i 100 pazienti visitati e i 50 operati. La scarsa affluenza di pazienti delle primissime missioni è stata superata con la decisioni di farci…pubblicità. Se già a Makallè poche persone sapevano che all’Hewo Hospital di Quihà si potevano operare bambini con le malformazioni più disparate e per giunta gratuitamente, nel resto del Tigray praticamente nessuno ne era a conoscenza. Abbiamo deciso quindi di inviare e far diffondere nei diversi presidi ospedalieri del Tigray dei poster esplicativi della nostra attività prima del nostro arrivo. Inoltre abbiamo creato una pagina Facebook (Chirurgia Pediatrica all’Hewo Hospital di Quihà, Etiopia) e l’abbiamo pubblicizzata a tutte le persone con cui venivamo in contatto durante le nostre missioni, con preghiera di condividerla con i loro amici e gli amici degli amici. In breve così siamo riusciti a superare anche l’iniziale diffidenza del personale della Pediatria che per la prima volta si vedeva costretto a seguire piccoli pazienti chirurgici.
Se ripensiamo alla nostra esperienza di questi anni possiamo ritenerci abbastanza soddisfatti. Abbiamo trattato 560 bambini di età compresa tra 3 mesi e 18 anni, di cui più della metà nei primi 6 anni di vita. La nostra chirurgia è essenzialmente ricostruttiva e molte volte sono necessari più interventi per raggiungere il massimo del risultato. Per questo avevamo intenzione di effettuare almeno 3 missioni l’anno ma purtroppo non ne siamo stati in grado. L’attuale normativa sanitaria in Italia infatti rende molto difficile trovare operatori che possano e vogliano assentarsi dal proprio lavoro per 2 settimane (per giunta non retribuite).
Come si può vedere dalla casistica la maggior parte degli interventi non sono salvavita, ma in un paese come l’Etiopia sono interventi che restituiscono la dignità della vita a persone che inevitabilmente verrebbero emarginate dal contesto sociale.
Circa la metà dei nostri operati hanno patologie dell’apparato genitale; tra queste forse la più importante è l’ipospadia, una malformazione congenita che comporta anomalia della minzione, infertilità e nelle forme più gravi impotenza.
Altre componenti rilevanti della nostra casistica sono le labiopalatoschisi, le malformazioni di mani o piedi e gli esiti cicatriziali da ustioni. Abbiamo avuto anche alcuni casi importanti come un megacolon congenito, tre atresie anorettali e, recentemente, due estrofie della vescica.
Ci sono poi dei casi che ci hanno particolarmente colpito e che rimarranno nel nostro cuore per sempre come quello di un bambino di 5 anni, proveniente da una famiglia poverissima, la madre cieca e padre ex lebbroso, con esiti importanti alle gambe e alle mani. La famiglia viveva di carità. Come è pratica molto frequente in Etiopia, il bambino era stato sottoposto ad una “home circumcision” con complicanze drammatiche (asportazione quasi totale del glande). Siamo riusciti a ricostruire il glande ed uretra, anch’essa resecata.
Letebhrane è una bambina di 9 anni dolcissima, sveglia, intelligente con un sorriso smagliante che ci ha fatto innamorare tutti …anche se dal suo sguardo traspariva l’infelicità della sua situazione. La vedemmo per la prima volta all’inizio di una nostra missione su un letto della Pediatria; era impossibilitata a camminare poiché la sua gamba destra era flessa sul ginocchio e la coscia retratta sull’addome, esiti di una tremenda ustione provocata da una lampada a petrolio cadutale addosso mentre studiava. Abbiamo dovuto effettuare due complessi interventi della durata di quasi 5 ore ciascuno, il primo all’addome e il secondo al ginocchio per raddrizzare la gamba. Ma a causa delle precarie condizioni igienico sanitarie la ferita addominale si è infettata e alla fine della nostra missione siamo stati costretti a lasciarla con febbre alta e secrezioni purulente dalla ferita. Per la difficoltà delle comunicazioni tra Etiopia ed Italia non siamo riusciti ad avere sue notizie se non dopo 4 mesi…alla successiva missione.
Eravamo arrivati la domenica pomeriggio ed eravamo andati a sistemare e preparare la camera operatoria per l’attività dei giorni successivi. Avevamo finito ormai al tramonto e stavamo tornando alla residenza passando vicino alla Pediatria dove dei bambini stavano giocando . Uno di loro, vedendoci, si stacca dal gruppetto e viene verso di noi e man mano che si avvicina la riconosco: è lei, è Letebhrane. Ci corriamo incontro e ci abbracciamo con forza! E’ un miracolo, penso incredulo. Tutti i componenti del gruppo che già la conoscevano l’abbracciano e la baciano. Gli altri, che ancora non ne conoscevano la storia rimangono perplessi e affascinati.
Che cosa era successo? Dopo la nostra partenza le infermiere della Pediatria avevano curato l’infezione molto meglio di noi, con il loro metodo tradizionale, il miele!