Lunedì
Ricomincia la settimana e si riprende l’attività chirurgica a pieni ritmi. La giornata passa in sala operatoria, tra un’operazione e l’altra l’immancabile caffè (buna). Durante le operazioni Sergio se la spassa a leggere Maupassant, mentre noi ci indaffariamo intorno al tavolo, tra scialitiche che si spostano e aspiratori che non aspirano. Ogni tanto capita che vedo muoversi un po’ la gamba del paziente di turno, “Anestesista! La paziente si muove!” lo avverto, “Si deve muovere! Mica è morta” è la risposta standard di Sergio, ormai è diventato un gioco delle parti. Continua ad avvertirmi di non diventare come Loro Chirurghi, di scegliere piuttosto una vita più tranquilla come quella dell’Anestesista, peccato che io non mi senta tanto “tranquilla”ad avere sotto il mio controllo la vita di qualcuno. All’inizio delle operazioni lo osservo preparare il paziente, non è facile con gli strumenti e i medicinali di qui. A volte l’ossimetro non funziona, altre volte è lo sfigmomanometro a fare capricci. “L’anestesista, come il chirurgo, non deve farsi prendere dalla fretta. È necessario fare tutto con la dovuta calma, cosìda non dimenticar nulla e non ritrovarsi, ad esempio, con un paziente curarizzato e addormentato che però sente ancora dolore” mi spiega Sergio. Questi giorni mi sta insegnando la procedura per intubare il paziente, anche in questo caso la situazione qui è più difficile del normale perché la maggior parte dei pazienti ha denti malfermi e c’è il rischio che durante l’intubazione possano cadere ed essere ingoiati.
Alle cinque il personale locale se ne va, Mauro prende il posto di Tekle come strumentista. Finita l’ultima sutura alle sei. Con Angelo andiamo al computer a scrivere la descrizione degli interventi della giornata, con qualche problema: la comunicazione con le infermiere non è migliorata e ogni sera, quando arriva il momento della ricerca delle cartelle dei pazienti operati, si svolge una buffa scenetta in cui io gesticolando cerco di farmi capire e loro in risposta continuano a fare (più che dire): “Escì, escì”, ovvero “Va bene”, ma in realtà non hanno compreso un accidente. La stanchezza della giornata ha ridotto la mia pazienza a zero, a ‘na certa…
Nonostante le difficoltà, comunque, anche oggi siamo riusciti ad aggiornare le cartelle e ci dirigiamo, un po’ acciaccati dalla lunga giornata, verso la directory residence. Sentiamo una strana cantilena di sottofondo: sono i pazienti riuniti insieme in preghiera, sono in file davanti alla croce di legno affissa in una delle stanze dell’ospedale. Non ho ancora mai assistito a questa scena, siamo sempre risaliti prima, evidentemente. Il sole è già tramontato, ma qualche raggio filtra ancora da dietro le montagne e dona al cielo una sfumatura surreale, da dipinto ad acquerello, che ben si addice all’atmosfera religiosa. Giunti ai nostri alloggi è quasi ora di cena, giusto il tempo di farsi una doccia veloce, MA manca l’acqua! E’ la prima cosa che ci dice Massimo quando ci affacciamo in soggiorno. E così, sporchi ed affamati, ci sediamo a tavola.
Finita cena vado subito a letto, sono K.O., stanca, ma felice. Sono le 20:30, ovvero le 18:30 italiane, e io sono già sotto le coperte, pronta per dormire, se lo racconto ai miei amici di Roma nessuno mi crederà.