Tamrat studia con tutte le sue energie. Se i suoi voti saranno buoni abbastanza potrà frequentare l’Università. Spera di diventare manager e all’Hewo dicono che potrebbe farcela perché è tra i più bravi della sua classe. Eppure, dodici anni fa, quel ragazzo che sorride fiducioso al futuro non sollevava neppure lo sguardo da terra, trascinando il suo corpo di bambino fragile tra i sassi di Quhià.
Nato con una gravissima malformazione che gli impedisce l’uso delle gambe, Tamrat non sembrava avere altro destino se non sperare di sopravvivere mendicando nei giorni di mercato, come accade a tanti altri figli della povertà venuti al mondo all’apparenza imperfetti.
“Non potrò mai dimenticare quando mi avvicinavo a lui per chiedergli come stava. Non alzava neppure la testa”, racconta Asmera, infermiera di sala operatoria, all’Hewo fin da quando l’ospedale è stato costruito. E’ lei che incontra per la prima volta quel bambino di sette, otto anni, che chiede l’elemosina e si muove usando le mani come piedi. Il padre nessuno sa chi sia, la madre l’ha abbandonato piccolissimo ed è stato cresciuto con fatica da una zia. Niente scuola, solo una mano testa a chiedere la carità in quel paese tigrino dove la miseria è l’orizzonte dei più.
Inizialmente l’idea è quella di comprare a Tamrat una bicicletta la cui spinta propulsiva arriva dalle braccia. Ma forse, pensano all’Hewo, si può fare di più. Lo si può aiutare a prendere in mano il suo futuro. Asmera ricorda che non è stato facile convincerlo ad uscire dal suo guscio, da quell’angolo di silenzio in cui era ormai abituato a vivere. Perché Tamrat é circondato dai bambini nella piazza del mercato, ma non riesce neppure a parlarci, rinserrato com’è in se stesso. E’ solo all’Hewo, dove riceve cure mediche, cibo, abiti, un’istruzione e soprattutto amore, che inizia a giocare e a ridere.“Faceva persino ridere gli altri con il suo camminare con le mani. Era diventato una persona diversa”, racconta Asmera.
Gioca in porta nel campo di calcio dell’Ospedale e quando arriva la prima bicicletta può finalmente andare a scuola. Non è facile spostarsi sulle strade dissestate, ma a Tamrat non manca chi lo aiuta a volare incontro ad un nuovo destino. I bambini del paese gli corrono dietro, lo spingono per fargli superare ogni ostacolo. E’ cosi che diventa bravo, con la bici e sui libri. Inizia ad allenarsi e fa sul serio. Si qualifica terzo nei campionati di ciclismo paralimpico del Tigray e può sognare Addis Abeba, la competizione nazionale, dove raggiunge il podio. Ma lo sport non è il suo futuro, Tamrat vuole studiare.
Dopo la scuola e fino al tramonto, la sua vita è all’Hewo. I fratelli della comunità – perché questo sono per Tamrat – lo guardano studiare, ma anche lavorare in quel luogo dove spende tutte le sue giornate e che è diventato la sua casa. Fa ciò che può, usa la sua bicicletta, oggi motorizzata, per piccoli trasporti, dal magazzino alle cucine o ai reparti. E quando arriva la missione di odontoiatria dall’Italia, aiuta i dentisti ed i tecnici perché ha sempre voglia di imparare qualcosa di nuovo.
Per dodici anni si è impegnato, un anno dopo l’altro. Ed ora, in volata, pensa all’Università. Deve avere voti alti perché il Governo, che qui stabilisce le carriere accademiche dei ragazzi, gli consenta di continuare a studiare. E’ una sfida difficile. Ma Tamrat ècoraggioso e non è solo. La comunità Hewo è li a sostenerlo, a fare il tifo per quel bambino fragile che gioca la partita della sua vita
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